Un mestiere dignitoso, (gioco fantasy-umoristico stile Terry Pratchett)

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Gorca Drakovic
view post Posted on 23/8/2006, 17:42




ANTEFATTO

Maxim Le Roquefort correva sbuffando nella foresta con un'espressione indescrivibile sul volto. O meglio un'espressione che si poteva descrivere solo come a metà fra terrorizzata e vagamente disgustata.

Al mondo esistono uomini che sono capaci di assumere certe espressioni di affettata superiorità e mantenerle per così dire in secondo piano sul proprio volto nonostante debbano esternare altri generi di sentimenti. Ma solo i veri maestri tra loro riuscivano a mantenerla anche nei casi in cui erano spaventati a morte. E Maxim Le Roquefort, il miglior gourmet della città di Tyr-Sedim, era più che un maestro nel porre il mondo di fronte alla propria inadeguatezza nei suoi confronti.

Anche adesso che stava correndo solitario in quell'intrico di alberi, dopo che la carrozza su cui viaggiava era stata assaltata dai Troll delle Foreste, una parte della sua mente teneva il broncio contro il distratto cocchiere. O meglio contro quel che restava di lui, in realtà.

Ma quando fosse arrivato al villaggio gliel'avrebbe fatta vedere, pensava. Prima di tutto avrebbe consegnato il biglietto al locandiere e si sarebbe preso il posto che gli era stato promesso. Poi sarebbe andato a protestare all'assemblea cittadina. Quelle foreste non erano sicure, bisognava organizzare delle squadre di volontari e...

Risuonò un colpo metallico. Come di un gong. O meglio, per chi avesse l'orecchio davvero fino, di una padellata.

E di Maxim le Roquefort, o almeno di quel Maxim Le Roquefort, non ha più molto senso parlare qui.


LUOGO: VILLAGGIO DI GOOSETOWN - LOCANDA DEL GRIFONE CIECO

Guardate Fulton Piedepiatto. Un Locandiere. Un uomo sudato. Un uomo sfortunato. Un uomo che aveva letto il "Compendio dei Mostri e delle Strane Creature" di Whizzle McFullp.

Le quattro cose non erano molto collegate fra loro. Non è che Fulton era sfortunato perchè era un locandiere nonostante gli affari stessero andando male parecchio in quel periodo tanto che rischiava di non poter pagare il debito che si era fatto per metter su la locanda. Il fatto che fosse un locandiere c'entrava ancor meno col suo sudore nonostante comunque facesse un certo caldo dentro il "Grifone Cieco".

La lettura del "Compendio dei Mostri e delle Strane Creature" di Whizzle McFullp, poi, era assolutamente non collegata con la sfortuna, il sudore o il fare quel mestiere. Semplicemente era una lettura che Fulton aveva deciso di fare dopo che due avventurieri avevano scatenato una rissa nella locanda perchè ciascuno affemava di aver combattuto e ucciso un Rhemorhaz ma quelli che esibivano come prova erano i cadaveri di due strane creature diverse completamente l'una dall'altra (1).

In quel momento, Fulton sentiva frullare dietro la sua fronte sudata un'altro passaggio del "Compendio".

Troll delle Caverne: Umanoide. Alto oltre 3 m. Pelle molto dura e resistente color grigio pietra. Onnivoro. Molto bellicoso. In grado di stritolare con facilità un uomo adulto...

Seguiva una lunga e colorita serie di esempi delle cose che i troll delle Caverne potevano fare agli uomini adulti, ma una parte del cervello di Fulton, soppesati i pro e i contro della faccenda, decise di chiudere il pensiero lì.

Lui era fuori dalla sua locanda. E davanti a lui stava un umanoide color grigio pietra alto più di tre metri che gli sorrideva in una maniera che voleva essere forse cortese ma che gli dava uno strano desiderio di provare in quanto tempo riusciva ad arrivare di corsa fino al villaggio vicino.

In una mano enorme, quello che stando al "Compendio" era un Troll delle caverne, stringeva un enorme sacco che rumoreggiava come se fosse pieno di pentolame. Legata alla schiena c'era qualcosa che Fulton non aveva mai visto. O meglio, che aveva visto molte volte ma mai... insomma...

Era una padella. Grezza. Enorme. Una gigantesca padella di metallo nero, con il manico ricavato da una quercia secolare e il fondo ricoperto dalla secrezione indurita degli S'tfax velenosi (3).

E infine, nell'altra gigantesca mano, fra il pollice e l'indice... un foglietto.

Fullton, sentendosi più sudato e sfortunato ogni istante che passava, balbettò con voce intelligibile.

"E così voi sareste... monsieur Le Roquefort..."

Il testone annuì con quasi eccessiva sollecitudine. Poi il foglietto fu posto sotto il naso rubizzo del locandiere da una mano che sembrò oscurare il sole.
La voce ricordava un terremoto lontano. Ma scandiva le parole con curiosa precisione.

"Si. Io sono Maxim Le Roquefort. Questa, è la mia lettera di presentazione."
______________________________________________________________________________

(1) Dal libro, Fulton aveva poi ricavato che entrambi gli avventurieri erano in errore e che il Rhemoraz era una specie di verme dei ghiacci che viveva solo a temperature inferiori ai venti gradi sotto zero e che quindi non era mai esistito in quei luoghi. Aveva ricavato inoltre che uno dei due avventurieri aveva in realtà ucciso un rarissimo esemplare di Fargh, animale prossimo all'estinzione perchè innocuo ed indifeso tranne che per la facoltà magica di portare sette anni di sfortuna terrificante a chi lo uccidesse (2).

(2) Il Fargh è l'unica specie animale conosciuta che si va estinguendo ASSIEME ai suoi predatori.

(3) Per renderla antiaderente. Anche questo stava scritto sul "Compendio".



Edited by Gorca Drakovic - 24/8/2006, 20:10
 
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PinguinoMannaro
view post Posted on 24/8/2006, 15:36





Un carro giunse al villaggio,trainato da una coppia di buoi paciosi con l'aria di qualcuno che ha perso da tempo ogni ragione di preoccuparsi per il futuro. A cassetta sedeva un uomo con abiti da contadino e un'espressione preoccupata . La schiena poggiava contro una pila di libri, alta abbastanza da sfiorare i rami degli alberi che costeggiavano la strada fuori dal paese, come testimoniavano le fronde rimaste impigliate tra le pagine a mo' di segnalibro. Altri volumi erano ammucchiati dietro di essi, alcuni in pile ordinate, altri in mucchi confusi. Il carro era colmo all'inverosimile. Solo un intreccio di corde impediva al cumulo di rovesciarsi. Ogni buca della strada, ogni sussulto delle ruote si trasmetteva al carico causando in esso un ondeggiamento, un dondolio, un diramarsi di onde che facevano assomigliare il carro a un budino portato in tavola da un cameriere in preda a una febbre malarica, o a una donna decisamente soprappeso che cercasse di ballare il tip tap. Di tanto in tanto il guidatore si volgeva all'indietro scrutando preoccupato quell'instabile cumulo di libresche masserizie.
Come succede spesso, non si scoprì mai il responsabile di ciò che avvenne in seguito.
Un grosso cane, che nessuno avrebbe poi ammesso di conoscere, attraversò la strada di fronte ai buoi. Questi, forse meravigliati da tanta vivacità, rallentarono ancora il passo rivolgendo il capo a seguire il movimento. il risultato fu una spinta laterale che fece ondeggiare il carro verso sinistra, poi verso destra, mentre le ruote si sollevavano da terra e il guidatore si sforzava di riportare il baricentro in una posizione più accettabile sporgendosi oltre il bordo dalla parte opposta come l'equipaggio di una barca che cerca di bilanciare la vela.
L'altissimo cumulo di masserizie ondeggiò paurosamente mentre le funi che lo trattenevano si sforzavano sotto il peso imponente. Un volume di "De arte necromantica more stultorum" (1) sfiorò le tegole di una casa. I mattoni rossi lasciarono sulle labbra del demone in copertina una traccia come di rossetto che, se quell'immagine fosse arrivata nel settimo girone infernale, avrebbe fatto di quel diavolo lo zimbello di tutti i suoi colleghi.

Con un ultimo sussulto il carro si assestò sulle quattro ruote senza ribaltarsi.
Il guidatore esalò un sospiro di sollievo.
Poi, le corde che trattenevano il carico, sforzate da tanto lavoro, si spezzarono rovesciando romanzi, saggi, raccolte, antologie, grimori in un'inondazione cartacea lunga due isolati. Al termine, dopo qualche istante di silenzio, la figura del guidatore emerse come una talpa da sotto le macerie. Scrollò con la mano una biografia di re Melchisede di Molbaffia(2) che era rimasta appoggiata sulla spalla, ignorò uno dei buoi che lo guardava incuriosito con "L'arte barbarica dell'uncinetto. Fatelo da voi : il copriasciabipenne in lana" infilzato in un corno e scrutò la distesa di pagine davanti a sé. Come impongono le leggi dell'umorismo, un ultimo foglio strappato da un qualche volume era rimasto a volteggiare al vento e si posò in quell'istante su suo capo a coronare la scena.

Un'altra figura emerse poco lontano, guardandosi attorno disorientato. Era una figura così magra da parere fatta di stecchi, con capelli ricci e scomposti. Il suo viso aveva un solo elemento di spicco : come certi individui che, a corto di soldi per arredare l'appartamento, scelgono di investire in un mobile di pregio e accontentarsi per il resto di merce più economica, allo stesso modo la natura aveva arredato quel viso con occhi,labbra e zigomi che nessuno avrebbe degnato di un secondo sguardo, investendo piuttosto tutte le sue energie nel fornirlo di un naso monumentale. Che sia lungo, aveva detto la natura preparando il progetto. Aguzzo abbastanza da destare l'invidia di un picchio, affilato come una lama in alto e, sotto di esso, le narici siano capienti a sufficienza perchè gli uccelli possano farci il nido e qualunque tossicomane dipendente da sostanze sniffabili lo guardi con terrore.
La figura si chiamava Luval. Allungò una mano fino a recuperare un paio di occhiali dalla montatura rotonda scivolati poco distante e li indossò. Poi, rivolse lo sguardo verso l'uomo che aveva condotto il carro.
- Cosa è successo? Stavo leggendo tranquillamente seduto sul carro quando mi sono ritrovato qui.
Il conducente ricambiava il suo sguardo con ferocia senza parlare. Luval si sentì in dovere di portare avanti la conversazione da solo
- Temo che questo scossone mi abbia fatto perdere il segno - aggiunse con tono di vago rimprovero.
Ancora silenzio. Lo sguardo dell'uomo era così rovente che Luval si preoccupò che la carta potesse prendere fuoco.
- Uh, quanto ci vorrà per ricaricare tutto quanto? - disse ancora sperando che una domanda vivacizzasse il dialogo.
- Non intendo ricaricare tutto. Per quanto mi riguarda, il viaggio finisce qui.
Luval lo guardò incredulo
- Come sarebbe qui? Si era detto fino alla prossima città!
- Si era detto te. Non si era parlato di una %$# biblioteca.
- Avevo detto che avevo del bagaglio!
- Bagaglio significa una borsa con la biancheria di ricambio e magari un libro con le pagine morbide da usare quando vai in bagno. Non tanti %$# libri da bastare per un %$# reggimento con la %$# diarrea. C'è una locanda la in fondo - aggiunse - prenditi i tuoi %$# libri e cerca qualcun altro che te i porti, io torno indietro.
Luval sospirò guardandosi attorno. Un individuo saggio sa riconoscere quando è inutile tentare di far cambiare idea a qualcuno. Iniziò a raccogliere qualche volume. Aveva ancora dei risparmi da parte, poteva prendere una stanza e aspettare che capitasse qualcuno per dargli un passaggio. Se poi il villaggio gli fosse piaciuto poteva anche fermarsi. Non aveva progetti ben definiti per il futuro.
- Per curiosità, come mai usi sempre quell'espressione? - chiese all'uomo che stava disincagliando il carro da quegli scogli cartacei
- Di che %$# di espressione stai parlando?
- Quando dici "percentualeDollaroCancelletto".
- Ah, quello. - rispose lui con un certo imbarazzo - A mia moglie da fastidio quando uso espressioni volgari, così cerco di usare un %$# eufemismo. Così i %$# bambini non diventano %$#mente sboccati come me.
Luval annuì. Sembrava un'ottima spiegazione. Reggendo davanti a sé una pila di libri che arrivava fino a ben oltre i suoi occhi, si avviò in direzione della locanda. Non vedeva bene dove stesse andando, ma sbirciando attraverso la costola di un romanzo riusciva a intravedere la strada e si accorse di avere raggiunto la sua meta. C'era qualcuno davanti a lui. Probabilmente il locandiere, riusciva a intravedere ben poco della sagoma. Notò con un certo stupore che indossava un paio di guanti grigi.
- Mi scusi, mi servirebbe una stanza per favore.



(1) necromanzia for dummies
(2) re Melchisede di Molbaffia gode del dubbio onore di avere avuto il regno più noioso dela storia. Per colpa di un incantesimo di dislocazione temporale fallito tragicamente da parte de mago di corte il suo regno, della durata eccezionale di 64 anni risultò composto escusivamente da domeniche pomeriggio, con tutti i locali chiusi, gli amici fuori città per il week end e, effetto colaterale, ogni dispensa conteneva esclusivamente un tozzi di pane raffermo, due zucchini e un gambo di sedano.
 
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Gorca Drakovic
view post Posted on 24/8/2006, 16:21




Lubash "Maxim le Roquefort" Dentediferro gongolava tra se e se.

In realtà non era del tutto sicuro di star gongolando correttamente perchè, in quanto Troll delle Caverne, non era cresciuto in ambienti in cui l'arte del gongolare era applicata con molta frequenza. I Troll, si sa, vanno forti in "rabbia spettacolare" e "appetito insaziabile". I più intelligenti e profondi tra loro, poi, riescono a sviluppare una passabile "sadica soddisfazione" e una più che accettabile "rocciosa cocciutaggine".

Ma gongolare era una cosa che Lubash non aveva visto fare molte volte in vita sua. Lui ci provava comunque, con molta buona volontà, tanto che il locandiere Fulton Piedepiatto aveva la distinta impressione che soffrisse di una certa acidità di stomaco.

Un colpo di fortuna di quel genere, Lubash non se lo sarebbe mai aspettato in vita sua. Non solo si stava finalmente assicurando il posto da cuoco che aveva sempre sognato, ma addirittura la sua nuova identità gli avrebbe consentito di frequentare i migliori gourmet della zona.

Il fatto di poter destare dei sospetti come "Maxim" lo sfiorava appena. Dopotutto Le Roquefort veniva da Tyr-Sedim (1).

Il gigantesco Troll adesso sembrava in preda ad un'ulcera gastrica, tale era il livello di gongolamento a cui stava arrivando. E fu proprio in quel momento che si accorse che c'era qualcuno alle sue spalle.

"Mi scusi, mi servirebbe una stanza per favore"

C'è da dire che i Troll sono esseri dai sentimenti possenti come i loro muscoli e soggetti a repentini sbalzi d'umore quando sono eccitati. Qualcosa scattò nel testone di Lubash al sentire quella voce ed un paio di secoli di testosterone che aveva accumulati con pazienza durante la sua vita, pensarono bene di svegliarsi all'improvviso e fare bailamme nel suo cervello.

Come si permette questo insetto di confondermi con un banale cameriere! Adesso lo schiaccio come una formica.
Questo è quello che pensò mentre si voltava. O meglio, in questo modo potrebbero essere tradotte con buona approssimazione le immagini di sangue e violenza che si affollavano nella mente del Troll.

Guardò in basso e vide, nell'ordine:

- un paio di gambe simili a due manici di scopa insaccati in un paio di pantaloni.

- una pila di libri di vario genere e foggia che copriva quasi completamente la vista del proprietario delle summenzionate gambe (tranne che per un paio di occhiali dalla montatura rotonda che ogni tanto sembravano far capolino da dietro)

e infine:

" L'ARTE DEL PERFETTO MAESTRO DI CUCINA - 10.000 RICETTE MAGICHE E NON - DI CHEZ RUPERT PRINGOODLE IN EDIZIONE ORIGINALE CON DISEGNI ILLUSTRATIVI!!!!"

... Sbraitò Lubash con tale veemenza da spingere indietro la figura di un paio di passi grazie alla semplice pressione sonora. Vedendo poi che stava per perdere l'equilibrio, si affrettò a sostenerlo con una mano immensa mentre con l'altra gli toglieva di mano i libri.

Si esibì nel suo sorriso migliore (un gatto, poco lontano, miagolò terrorizzato e se ne scappò come un fulmine).

"Signore, lei è arrivato nel posto giusto. Abbiamo camere libere, e se non le abbiamo gliene libero quante ne vuole in un istante."
_______________________________________________________________________

(1) Tyr-Sedim era una di quelle città e Goosetown era uno di quei paesi. Esistono delle città in cui, a ben cercare, si trova di tutto. Ed esistono alcuni paesi in cui cresce la convinzione che da queste città possa uscire più che di tutto. Se c'è una cosa strana - dicono i vecchi - viene di sicuro da Tyr-Sedim. Così quando qualcuno avesse notato il fatto che quel cuoco era un Troll delle Caverne, gli sarebbe stato risposto che veniva da Tyr-Sedim. E allora quel qualcuno avrebbe detto "ah beh..." e avrebbe continuato ad interessarsi della sua pietanza.




Edited by Gorca Drakovic - 25/8/2006, 18:19
 
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PinguinoMannaro
view post Posted on 25/8/2006, 14:13




La natura, si dice, aborre il vuoto. Così, ha creato forme di vita per un po' tutte le situazioni. Ha creato le aquile, perchè vagassero nel cielo e lo rendessero meno spoglio, talpe che vivono sottoterra e pesci per gli abissi marini. I torrenti sotterranei ospitano pesci pallidi e ciechi e persino le sorgenti ribollenti sulle pendici dei vulcani sottomarini non sono del tutto spoglie, anche se le forme di vita che prosperano su di esse sono poco più evolute dell'ufficio personale di una società di informatica.
Luval veniva da un'infanzia insolita e non esente da problemi, ma sentiva che la natura lo aveva creato per uno scopo. Lo aveva creato perchè c'era una nicchia adatta per lui. Da qualche parte al mondo c'era uno spazio fatto di dormite fino a tardi, di cene abbondanti e di lunghe, piacevoli letture accanto al fuoco. Quello spazio aveva, metaforicamente parlando, un segnaposto con su scritto "Riservato, Luval", e lui lo stava ancora cercando. Non per comodità propria, beninteso, solo che gli sarebbe sembrato di fare un torto alla natura se avesse rifiutato di prendere il posto assegnatogli. Nel frattempo, la ricerca lo aveva condotto a attraversare parecchi luoghi interessanti.
Così, quando una mano voce tonante lo scaraventò indietro di due passi e una mano grande quanto uno scaffale afferrò i libric che gli ostruivano la visuale, offrendogli lo spettacolo di una creatura mangiauomini, la prima cosa che che pensò fu :"No, direi che non ci siamo ancora".
La creatura aveva il viso distorto in un'espressione che Luval impiegò quanche istante a decifare, prima di rendersi conto che si trattava di un sorriso. Il troll sembrava procedere per tentativi, distendendo i muscoli del volto in modo scoordinato, come qualcuno che cecasse di riprodurre senza allenamento una difficile posizione vista assumere anni prima a un contorsionista a una fiera. Forse è solo il modo normale di sorridere dei troll, pensò Luval, ma avevea l'impressione che c'entrasse anche la mancanza di pratica.
- Una doppia allora, per favore - rispose decidendo che il numero di libri che portava con sè richiedeva una stanza un po' più grande delle altre. Poi, ripensando a ciò che sapeva dei troll e all'entusiasmo con cui questo aveva riconosciuto il libro di cucina, pensò che forse un accenno a altri libri a venire avrebbe potuto servire per evitare possibili ricadute di cattivo umore. I libri che aveva letto al riguardo non erano chiarissimi circa cosa aspettarsi da un troll di cattivo umore ma non sembrava piacevole. I resoconti al riguardo degli studiosi che avevano osservato questi comportamenti da vicino erano molto brevi e ricci di vocali (1)e
- Er... se ti interessa l'argomento dovrei avere anche altri libri del genere nel mio bagaglio, credo - aggiunse


(1)Soprattutto di 'a'. Un resoconto tipico era qualcosa come 'Ecco, il troll è infuriato. Adesso mi avvicino per studiarloAAAAAAAAAAAAAAaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!'
 
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Gorca Drakovic
view post Posted on 25/8/2006, 17:19




La camera era, come richiesto, una doppia. Era ampia, luminosa e ben fornita. Anche troppo ben fornita.

Effettivamente Luval aveva l'aria del tipo di persona che, indecisa se portarsi un libro in più o un cambio di biancheria intima, finiva per portare due libri in più e lasciare a casa anche il pigiama. In previsione della possibilità che lui si scoprisse carente quanto a effetti personali, la stanza era stata fornita - evidentemente dall'amministrazione della locanda - di una serie di cambi d'abito di vario genere.

In realtà, gli abiti non erano della misura di Luval, ma lui stesso era ben consapevole di non avere un fisico per così dire "semplice" ed era probabile che ci sarebbe passato sopra a questa piccola mancanza. Il fatto che il letto nella stanza fosse disfatto, era di sicuro imputabile al suo improvviso arrivo senza prenotazione.

La piccola immagine dell'uomo e della donna che stava sul comodino apparteneva sicuramente a qualche parente del locandiere. A conti fatti, l'unica cosa che era difficile da spiegare era la presenza nella stanza di abiti femminili oltre che maschili.. ma era un particolare che si poteva tranquillamente ignorare, come anche erano ignorabilissime le grida e il trambusto che si erano uditi poco prima che la stanza venisse dichiarata libera. (1).

Improvvisamente, la porta si aprì di schianto e una specie di ondata di marea di materiale libresco si riversò all'interno della stanza come se una qualche biblioteca, per qualche insondabile ragione desiderosa di sperimentare l'ebbrezza dell'andare in piena, avesse rotto gli argini e fosse - per così dire - straripata.

"Ecco qui signore, ci sono tutti signore"

La voce rimbombante di Lubash Le Roquefort risuonò dietro quella montagna di libri che sembrava voler inghiottire la camera (e questo gia di per se era male) assieme al suo attuale occupante, Luval (e la cosa non contribuiva a migliorare la situazione).

Due braccia grigie e gigantesche spuntarono da dietro ai volumi e si avvolsero come pitoni attorno al libresco leviatano, fermandone il crollo e tenendo duro finchè la gran massa non rimase in equilibrio malfermo.

Più o meno all'altezza del volto di Luval stava la biografia di re Melchisede di Molbaffia che recava in copertina una raffigurazione del volto del monarca. L'effetto complessivo era quello di una valanga attesa di avvenire che fissava Luval con gli occhi annoiati di un vecchietto indossante una corona di pessimo gusto (2).

Il gigantesco Troll annuì gongolando fra se e se al vedere che il suo prezioso ospite appariva (o si sforzava di apparire) soddisfatto della sistemazione. Smise di gongolare non appena il giovane si voltò nella sua direzione, perchè si era reso conto che i suoi gongolamenti gli causavano strane occhiate, e prima di rifarlo in pubblico voleva perdere una serata o due ad esercitarsi allo specchio.

Cercò di assumere un'aria sollecita. Luval fece un passo indietro di scatto, al che il Troll si segnò mentalmente di fare - gia che c'era - un paio di prove allo specchio anche riguardo la sollecitudine.

"Se il signore non ha altri desideri, io scenderei a preparare la cena... uhm..."

Pensò di assumere un'aria di nonchalanche, ma visti i precedenti risultati optò per rimanere impassibile e rimandare il generoso tentativo a quando fosse ben sicuro del significato della parola "nonchalanche".

"...in effetti io ho... uhm... purtroppo dimenticato a... uhm... casa i miei libri di cucina. Se lei fosse così gentile da prestarmene qualcuno, in particolare il "Pringoodle", io... uhm... penso che potrei cucinarle qualcosa di speciale. Uhm... che ne dice se stasera le faccio... uhm..."

Occhieggiò verso il basso. Il libro di cucina di Chez Rupert Pringoodle era lì, invitante, a lanciargli il suo culinario richiamo di sirena. Se ne stava lì aperto al capitolo delle ricette esotiche, ad una pagina in cui troneggiava orgogliosa l'immagine di un arrosto monumentale. C'era un titolo a quella ricetta. Lui lo lesse in fretta e furia.

"..l'arrosto di Frabberghaal con castagne e frutti di bosco?"

Concluse, forte della fiducia illimitata nelle sue capacità e della sicurezza che una cosa chiamata "Frabberghaal" non potesse non essere presente in una qualunque dispensa degna di questo nome.
___________________________________________________________________________

(1) La psicologia moderna, che pure si sta avviando verso un realismo sempre più spiccato, ammette che è quasi incredibile il numero di particolari che la presenza di un Troll alto tre metri e con muscoli grossi come meloni riesce a fare ignorare all'individuo medio.

(2) In quanto fabbricata dagli orafi di Tyr-Sedim, stando a quel che diceva la "biografia".

Edited by Gorca Drakovic - 26/8/2006, 11:20
 
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VyTheOwl
view post Posted on 27/8/2006, 08:24




Torben non era bravo a risolvere i problemi che gli si presentavano, tantomeno se imprevisti. Se i problemi in questione poi avevano l'aspetto di una montagna umanoide dalla pelle color pietra che troneggiava con espressione pericolosa ed ostile là dove avrebbe dovuto esserci Fulton Piedepiatto, a Torben non restava altra scelta che rifugiarsi nella convenzionalità.
Perciò ripassò velocemente quello che sua madre gli ripeteva fosse giusto fare quando si incontravano degli sconosciuti: essere gentili ed evitare di fissarli con insistenza... sua madre diceva "non sta bene fissare la gente, Torben", ma lui sospettava che si trattasse anche di evitare di farli arrabbiare.
In questo caso però evitare di fissare quell'essere era alquanto difficile, non tanto perchè era alto fino a sfiorare il soffitto e largo due volte Fulton, quanto per il fatto che Torben era andato a sbattere contro una delle sue mastodontiche gambe, facendolo inciampare e ruzzolare a terra; di conseguenza, l'essere non pareva esattamente di buon umore. Oltretutto, nella caduta rumorosa ed assai poco composta era anche accaduto che un piccolo libro volasse via dalle mani dello sconosciuto gigante spaginandosi ed aprendosi, ed ora il bestione lo agitava sotto al naso dell'imbarazzato Torben emettendo versi indecifrabili, ma che al giovane sembrarono chiaramente di riprovazione.
Torben stette a sentire per un pò il sonoro sfogo della gigantesca creatura in grembiule, sinceramente dispiaciuto: sua madre gli aveva insegnato ad ascoltare con educazione ciò che gli veniva detto quando combinava qualcosa di sbagliato per le vie del paese, così ascoltò senza fiatare le urla non propriamente amichevoli dello strano sconosciuto. Mentre sopportava in silenzio quella valanga di improperi gutturali, chiedendosi tra sè come mai i pochi clienti della locanda pareva avessero improvvisamente ricordato d'avere impegni urgenti fuori di lì, Torben pensò che almeno poteva seguire i consigli di sua madre ed essere gentile per farsi perdonare. Sua madre diceva che era importante che fosse sempre gentile con gli estranei, e Torben pensò velocemente al modo più convincente di essere gentile con la creatura ringhiante ed ululante che lo sovrastava: si ricordò che era quasi ora di cena, e pensò che anche il grosso sconosciuto potesse avere fame. Sotto lo sguardo attonito del Troll delle Caverne, Torben tirò fuori dalla bisaccia un piccolo involto che aprì in fretta ed alzò in alto fin sotto al mento del bestione esterrefatto; con lo sguardo più innocente del mondo, il giovane uomo disse:
"Io sono Torben, Torben delle Anatre... sono le frittelle della vecchia Gylie queste. Le vuoi? Veramente le aveva date a me, ed a me piacciono tanto; ma ti ho fatto cadere e ti sei arrabbiato, quindi te le do volentieri."
Fece un passo indietro chiedendosi come mai il gigante, finito di ruggire e sbraitare, fissasse ora lui ora le frittelle con gli occhi sgranati e degli strani ringhiosi borbottii. Per la prima volta Torben ebbe paura che il bestione grigio si fosse arrabbiato sul serio con lui... se ne dispiacque: sua madre non era mai contenta quando lui faceva arrabbiare le persone in paese. Prese una frittella e la mangiò, come per convincere il Troll in grembiule ad assaggiarle; si convinse che non avesse fame, perchè era decisamente impossibile altrimenti resistere alle frittelle della vecchia Gylie
"Se non hai fame"
Concluse Torben, rassegnato
"Posso sempre chiedere alla vecchia Gylie di scriverti la ricetta. Si, penso proprio che farò così... la vecchia Gylie sa scrivere, sai? E scrive tante ricette di cose buonissime, sai? E' proprio splendida la vecchia Gylie!"
Lo guardò, speranzoso...
"Ma tu non dirai a mia madre che ti ho fatto cadere, vero?"
 
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PinguinoMannaro
view post Posted on 27/8/2006, 23:17




Luval osservava la scena senza sapere cosa pensarne. Solo mezz'ora prima era in viaggio verso la città, dopo che il paese in cui aveva vissuto per qualche tempo era diventato inospitale (1). Ora si trovava in una locanda in un posto di cui nemmeno ricordava il nome, in compagnia di un troll dedito all'arte culinaria, di qualcuno che, da come aveva incontrato il troll sarebbe presto finito in quel genere di banchetti in cui si viene mangiati piuttosto che mangiare e di...improvvisamente si ricordò dell'altro individuo presente. Una figura che cercava dispratamente di confondersi con la tappezzeria della stanza. Il troll sembrava troppo occupato a guardare con furore il nuovo arrivato per fare caso a loro. Luval aveva letto nei suoi libri che alcune tribù di troll di montagna avevano trasformato in un'arte gli sguardi accigliati. Organizzavano tornei in cui i campioni sfoggiavano le loro espressioni più furiose. Secondo quelle storie, i campioni più abili erano in grado di provocare uan valanga semplicemente guardando con irritazione una montagna innevata. Giudicò che il cuoco avrebbe ottenuto un discreto punteggio, anche se non proprio una medaglia. un 7/10, diciamo.
SI rivolse sottovoce all'uomo che si sforzava intensamente di fingere di non esserci
- E' sempre così da queste parti?
L'uomo scosse il capo terrorizzato. Era un peccato che quella stanza fosse decorata con una tappezzeria a fiori. Così pallido si sarebbe mimetizzato perfettamente con una parete imbiancata.
- Ah, - commentò Luval - nuova gestione, eh? - gettò uno sguardo allusivo verso il troll - deve essere difficile trovare personale di qualità.
Era vagamente consapevole di avere notato qualcosa fuori posto guardando la scena poco prima. Guardò ancora cercando di capire di cosa si trattasse. Ci mise qualche istante a capire. La sua mente non riusciva a concepire un simile orrore.
- Il mio libro... spaginato! - disse infine quando si rese conto dell'accaduto.
Il suo sguardo non avrebbe forse vinto un torneo presso quei troll di montagna, ma di certo avrebbe ottenuto ameno un bronzo.


(1) Qualcosa a che vedere con un libro che Luval aveva comperato insieme agli altri rilevando tutto il contenuto di una piccola libreria locale. Un trattato sulle posizioni consigliate per l'atto sessuale da alcune popolazioni esotiche. Quel libro gli aveva dato una tale reputazione di immoralità da spingerlo ad andarsene. In effetti la cosa che lo aveva spinto ad andarsene era principalmente la folla di concittadini che aveva preso a stazionare in pianta stabile davanti alla sua abitazione, chiedendogli il libro in prestito "per giudicare personalmente se davvero lui era così immorale".
 
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Gorca Drakovic
view post Posted on 28/8/2006, 08:29




[Nella locanda - qualche minuto prima]

"Maxim Le Roquefort" stava fissando con gli occhi iniettati di sangue una pagina del "Compendio dei Mostri e delle Strane Creature" che Fulton teneva sotto il bancone della locanda.

Era un più che passabile sguardo torvo anche se - in verità - lui era un po' fuori allenamento. Da giovane avrebbe saputo probabilmente fare di meglio e c'era stato un anno in cui gli avevano addirittura proposto di partecipare alle eliminatorie per il Torneo Regionale di Sguardo Torvo delle Montagne. Studiare per diventare cuoco prendeva tuttavia molto tempo ed energie, e da Troll maturo e responsabile lui aveva deciso di rinunciare a quello che alla fine era solo un gradevole passatempo per dedicare tutto se stesso ai difficili segreti della culinaria.
Qualcosa però, in quel momento, gli diceva che avrebbe probabilmente avuto modo quanto prima di rifarsi degli allenamenti perduti.

Stava fissando - come se volesse mangiarselo - un paragrafo del "Compendio" che recitava:

Frabberghaal: razza di Viverna (1) innocua e non velenosa tipica dei climi polari. Vive esclusivamente oltre le Montagne Ghiacciate del Permafrost ed in cima ai picchi della Catena Solitaria. Forse uno degli animali più rari del mondo.

Nella locanda era caduto uno stranissimo silenzio... sia Fulton Piedepiatto che tutti gli avventori si erano curiosamente immobilizzati e perfino i tavoli e le sedie sembravano attendere col fiato sospeso. L'unica cosa che si muoveva nella stanza era la grossa vena che pulsava ritmicamente sulla fronte del Troll.

Continuò a fissare il "compendio" per diversi secondi, fino a che le immagini che illustravano le pagine sembrarono assumere un'espressione preoccupata. Poi si voltò lentamente, allungò un braccio gigantesco verso la smisurata padella di sua proprietà che aveva appoggiato alla parete e mosse un passo.

Fu allora che qualcosa dotato di un sorriso gentile ma vagamente assente e di una bisaccia piena di frittelle gli urtò malamente una caviglia facendolo inciampare.

La caduta di un Troll delle caverne è un affare complicato. L'effetto generale è quello di un incrocio fra un rinoceronte che crolla a terra e un qualche tipo di valanga. Questa valanga in particolare, sbattè con un tonfo sordo e scivolò per metà sala sul pavimento appena lucidato, mentre il libro di ricette che teneva in mano andava a spaginarsi in un angolo. Lo scivolone fu interrotto da uno dei tavoli, contro cui la massa trollesca andò a sbattere, trasferendo la sua inerzia ad un grosso boccale di birra che si rovesciò aspergendo generosamente del suo contenuto il tavolo e la testa di Lubash.

Gli avventori della locanda parvero evaporare. Il padrone del boccale di birra guardò oltre il tavolo e incrociò gli occhi del gocciolante Troll. Fece un sorriso imbarazzato e svenne.

"mmmmmmmmmmmm...."

Come in un qualche tipo di orogenesi culinaria, la montagna trollesca in grembiule si alzò lentamente sulle gambe e si asciugò il volto con una delle tovaglie. Fu allora che vide il prezioso libro di cucina spaginato in un angolo.

"mmmmMMMMMMMMM..."

Raccolse il libro e lo fissò. Poi si guardò intorno lentamente. Non appena si fu completamente girato notò sia il giovanotto che lo aveva urtato intento a fissarlo con aria vagamente dispiaciuta, sia il suo prezioso cliente che fissava invece con sguardo torvo (2) il libro spaginato.

"MMMMMMMGRROAURRR#%$&£**!!!!!"

Lubash era uno tra i rarissimi Troll in grado di parlare correntemente la lingua comune. Questo era dovuto alle sue molte letture, ed era una cosa di cui andava fiero. Quando era in preda ad accessi di ira omicida, tuttavia, preferiva servirsi della lingua Troll, molto più adatta ad esprimere in maniera colorita le minacce di morte (3).

Il suo interlocutore lo guardava con aria attenta e interessata, e appariva ascoltare con aria solerte ogni parola, anche se non sembrava che ne cogliesse molto lo spirito. La cosa creava in Lubash un certo sconcerto perchè pur ammettendo di essere meno che abile a gongolare, si riteneva perlomeno passabile in "furia distruttiva". Eppure il personaggio di fronte a lui, invece di scappare e/o svenire, cominciò a parlare di frittelle e di ricette di frittelle.

"Ricette..." disse il gigantesco Troll con aria vagamente stupita "Frittelle...".

Il volto roccioso pareva ponderare qualcosa, probabilmente se indagare su quelle fantomatiche ricette prima o dopo aver schiacciato il sedicente Torben come - appunto - una frittella, quando un ruggito animalesco seguito da grida terrorizzate echeggiò fuori della locanda.

Un gruppo di paesani urlanti si precipitò dentro lo stanzone. Si fermarono di scatto alla vista di Lubash, lanciarono un altro grido stridulo e scapparono di nuovo fuori. Il portone si era appena chiuso, che si udì un altro ruggito seguito da urla, e il gruppetto rientrò di corsa nel salone per andare a fermarsi di fronte allo stupefatto Troll.
Lubash alzò una mano per grattarsi il testone, movimento che generò una nuova fuga precipitosa all'esterno dei personaggi terrorizzati. Un nuovo ruggito echeggiò e i fuggitivi rientrarono, alcuni con un'espressione di curiosa ineluttabilità sul volto.

La cosa minacciava di andare avanti ancora per parecchio e Lubash apparve seccarsi. Afferrò la sua padella che era in terra lì vicino ed uscì dalla taverna.

Fuori risuonò un ennesimo ruggito, se possibile ancora più terrificante dei precedenti.

Si udì distintamente un suono metallico, come un colpo di gong molto forte.

Poi silenzio.

Il portone della taverna si aprì lentamente, sotto gli occhi sbarrati dei paesani che guardavano col fiato sospeso. Quello che entrò fu:

- una gigantesca padella di metallo nero con una vistosa ammaccatura al centro.
- un Troll delle caverne (in grembiule bianco macchiato di strisciate di cera per pavimenti) che appariva trascinare qualcosa
- una coda di scorpione grossa come il collo di una giraffa
- un corpo rettiliforme dotato di grandi ali squamate
- un collo serpentino
- una testa simile in tutto e per tutto a quella di un alligatore tranne che per il curioso bernoccolo in mezzo alla fronte

Di fronte a quello spettacolo dell'estro di Madre Natura, nessuno si sentì di dire nulla. Solo, da sotto il bancone, sembrò a Torben di udire la voce del vecchio Piedepiatto.

"Una Viverna... ma non si erano mai viste da queste parti.".

Lubash si piantò in mezzo alla stanza, la mente rocciosa che lavorava sopra giri e che rischiava di mandare in surriscaldamento il suo cervello. Cervello che, come in tutti i Troll, non era abituato a sforzarsi eccessivamente quando c'erano tutti quei muscoli che potevano farlo per lui.
Si vedeva che aveva un piano in mente, e quel piano stava occupando tutto il posto disponibile, sovrascrivendo momentaneamente anche gli avvenimenti di poco prima.
Puntò un dito contro il bancone e rombò.

"Tu. Procurami castagne e frutti di bosco. E cerchiamo d'ora in poi di tenerla più fornita, questa dispensa."

Si udì un tonfo, come risposta. Come se qualcuno avesse tentato di scattare sull'attenti da sotto il bancone. Ma Lubash ormai era passato alla fase due e stava già apostrofando Torben, che era l'unico altro in locanda che non stava facendo del suo meglio per nascondersi da qualche parte o confondersi colla tappezzeria.

"Tu apparecchia in fretta che stasera abbiamo un cliente importante. Questo coso non sarà un Frabberghaal ma lo faremo passare."

Apparentemente dimentico della crisi omicida di poco prima, entrò a grandi passi in cucina trascinandosi dietro la Viverna stordita. Si sentì subito rumore di pentolame - indice di alacre attivita - mentre il giovane Oswald, l'aiuto cuoco, fuggiva con un grido terrorizzato dalla porta di servizio.
_____________________________________________________________________

(1) "Compendio" pag 127. - Viverna: specie di rettile alato simile ad un piccolo drago, lungo fino ai quattro metri. Dispone di una coda velenosa di scorpione, di artigli affilatissimi, di un soffio acido e - con la notevole eccezione del Frabberghaal - un pessimo carattere.

(2) Lubash si segnò mentalmente che avrebbe dovuto congratularsi collo straniero e chiedergli se per caso conoscesse gia qualche Troll. Sguardo torvo di ottima scuola quello... non sarebbe sfigurato accanto a quelli professionali.

(3) La lingua dei Troll aveva un'unica parola che si utilizzava col significato di "pensare", "parlare" e "comunicare". Ma in compenso aveva quarantasette sinonimi della parola "uccidere".

Edited by Gorca Drakovic - 21/9/2006, 14:05
 
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VyTheOwl
view post Posted on 2/9/2006, 18:15




Torben osservò tutta la scena con una specie di pensieroso distacco... certo, il bestione sembrava assai infuriato, ma per il momento non pareva aver l'intenzione di andare da sua madre a lamentarsi di lui; in più, la vista di quella specie di drago gli faceva tornare in mente qualcosa. Ma cosa? Torben rifletteva fermo in mezzo alla sala sull'opportunità di provare ad offrire nuovamente le frittelle della vecchia Gylie allo straniero alto e grosso, quando si accorse di uno sguardo puntato su di lui con malevolenza... un tipo che non si era mai visto prima da quelle parti, magro ed ossuto come Torben non ricordava di averne incontrati, con un viso insignificante ornato però d'un naso che gli fece pensare al becco di un'anatra.
"Giusto, le anatre!"
Esclamò allora, dirigendosi con un ampio sorriso di gratitudine verso l'ometto che lo squadrava minaccioso e stupito... Torben era decisamente contento di averlo incontrato, talmente contento che pensò di regalargli almeno metà delle sue preziose frittelle. Si sedette davanti allo straniero magro e lo studiò con attenzione... lo sguardo torvo aveva qualcosa in comune con quello del bestione alto, ma erano fisicamente troppo diversi per essere fratelli: dovevano però essere certamente amici di lunga data, concluse il giovane tra sè... quindi disse:
"Lo sai, il tuo amico è proprio forte... io sono Torben, Torben delle Anatre. Vuoi delle frittelle?"
lo guardò speranzoso, mentre si infilava in bocca un altro dei dolci deliziosi che la vecchia gli aveva preparato... lo straniero continuava a fissarlo con torva ostilità, tanto che il giovane cominciò a chiedersi come mai quella mattina fossero tutti di cattivo umore là dentro.
"Cosa dicevamo? Su... mangia anche tu una frittella: si vede che mangi troppo poco, sai? Mia madre dice che se si può bisogna evitare di mangiare troppo poco, ed io faccio sempre quello che mi dice mia madre. Tua madre non ti dà da mangiare abbastanza?"
S'interruppe un attimo, sforzandosi di ricordare qualcosa che un'altra volta gli sfuggiva fastidiosamente; dalla cucina provenivano rumori di ossa spezzate che lo distraevano: l'immagine dello straniero alto e grosso che faceva a pezzi il drago...
"Ah si, il Drago!"
Strillò, battendo una manata sul tavolo... lo sguardo dell'ometto, più che torvo, pareva ormai stralunato
"Come ti dicevo, io sono Torben delle Anatre... e mi chiamano così perchè le anatre mi parlano, sai? E loro.. loro.. ah si, ecco! Loro mi hanno detto che girano tanti draghi come quello che il tuo amico ha accoppato... però, è forte il tuo amico eh!? Insomma, loro.."
abbassò la voce e si avvicinò al volto dell'ometto magro dal lungo naso, ed in tono confidenziale sussurrò
"Loro dicono che qualcosa li sta spingendo giù dalle montagne, qualcosa che li spaventa e che li fa infuriare... e certo che ce ne deve volere per spaventare uno di quei cosi."
Lo fissò un attimo, con espressione vacua... quindi concluse
"Le vuoi o no le frittelle?"


Edited by VyTheOwl - 3/9/2006, 06:34
 
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PinguinoMannaro
view post Posted on 7/9/2006, 22:27




Esiste un concetto matematico. Luval aveva letto qualcosa al riguardo.
Immaginiamo un asse che rappresenti la popolazione di una nazione. Ogni punto rappresenti una persona(1). Immaginiamo una funzione che selezioni casualmente alcuni di questi punti. Possiamo prendere l'insieme dei punti selezionati. Tale insieme conterrà un sottoinsieme che rappresenta i punti selezionati più di una volta. QUesto sottoinsieme conterrà un sottoinsieme a sua volta e così via. Punti che senza alcuna ragione apparente sembrano presi di mira. Il libro li definiva "attrattori sfigati". Luval ci si era riconosciuto subito.
Rivolse uno sguardo interrogativo al locandiere, che si stava dirigendo barcollando verso il retrobottega. Quello annnuì con espressione rassegnata - E' vero. - commentò - ci parla.
Luval tornò a rivolgere lo sguardo verso Torben. Si assestò gli occhiali sul naso. La viverna era strana, ma lui ne aveva già viste(2). Un uomo che parlava con le anatre... questo era una novità. Certo esistevano gli aruspici che in un certo qual modo interrogavano gli uccelli e ne ottenenvano una risposta, ma era il genere di dialogo che lasciava poco spazio per una conversazione successiva. E c'era quel tale, in una nazione poco lontano, che sosteneva di parlare addirittura con le pietre. Solo che queste restavano talmente di sasso nello scoprire che lui le comprendeva che non riuscivano a proferire parola.
Anatre... no... anatre non ne ricordava.
Aveva già dimenticato la furia di un attimo prima. Il troll era scomparso oltre l'ingresso della cucina lasciando dietro di sè solo il ricordo e la propria sagoma profilata lungo la parete dove la porta si era dimostrata troppo stretta. poco per volta l'atmosfera nella stanza stava tornando a una pur cauta parvenza di normalità. Un individuo dagli abiti rattoppati si sistemò accanto all'uscita, piazzò una ciotola di fronte a sè e sfoderò un'arpa che aveva visto tempi migliori. Iniziò a cantare una canzone tradizionale delle montagne, alternando sguardi speranzosi verso il pubblico e occhiate preoccupate verso l'ingesso della cucina.
"Dieci nane per me, posson bastare..." iniziò a cantare.
Luval lo sentì appena. Finora si era guadagnato da vivere nel modo peggiore, offrendo indicazioni agli avventurieri di passaggio. Qualche pazzo decideva di cercare il tempio perduto di chissachè, si accorgeva di non avere idea di dove cercarlo. Allora andava da lui. Luval a quel punto gli spiegava "Il tempio perduto di Nyarlatopeppa? Niente di più facile. Tiri dritto fino ai tumuli maledetti, poi a destra attraverso la foresta degli spettri. Al che gli eroici ma un po' tonti avventurieri lo guardavano confusi e lui sapeva che avrebbe dovuto accompagnarli.
"Una la voglio perchè riesce a estrarre più di 15 quintali di minerale grezzo all'ora" continuava il musicante in sottofondo.
Ma adesso... un uomo che parla con le anatre... Un fenomeno nuovo. Avrebbe potuto scrivere il SUO libro al riguardo. Con il ricavato non avrebbe mai più avuto bisogno di accompagnare per il mondo uomini dai muscoli d'acciaio e dal cervello di gelatina di prugne.
"Una la voglio perchè è un fabbro in gamba e di asce in un giorno ne fa tre "
Corse nella stanza di sopra, afferrò tra le masserizie un rotolo di pergamene, una boccetta di inchiostro e una penna d'oca. Ridiscese e si sistemò davanti a Torben prima ancora che la musica avesse terminato la strofa successiva.
"Una la voglio perchè ha una barba così grande e curata che nessuno sa che aspetto abbia la parte frontale dei suoi abiti"
- Bene - disse - raccontami un po' di questa cosa delle anatre per favore.
La cosa migliore era che se davvero c'era qualcosa di terribile sulle montagne, preparare il suo trattato gli avrebbe permesso di rimanere tranquillo in pianura. Stavolta nessuno lo avrebbe convinto a ficcarsi nei guai.
"una la voglio perchè mi piace il modo in cui lavora la pietra"
A patto di evitare il troll naturalmente. E se solo quel musicista fosse stato zitto.












(1)questa similitudine in realtà non è del tutto corretta perchè un punto è geometricamente privo di spessore. Quindi la nostra retta, contenendo un numero finito di persone collasserebbe fino a svanire nel nulla, il che d'altra parte è quello che storicamente le nazioni sanno fare meglio. Ok. Forse la similitudine non è così male dopo tutto.

(2) Beh, non proprio, ma aveva LETTO di loro.
 
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Gorca Drakovic
view post Posted on 8/9/2006, 08:58




La figura verdastra fece il suo ingresso nella stanza. Cautamente, si fece largo fra i calcinacci e le ossa sparse in terra. Soprattutto, evitò la grande macchia nerastra al centro del pavimento, cercando di non guardare i resti bruciaticci al suo interno.

La stanza era rimasta così da oltre sei anni. Dall'epoca della Battaglia.

E da quell'epoca, il suo Signore era rimasto immobile seduto sul suo trono d'ossa, in attesa del plenilunio che lo avrebbe liberato. E allora, il suo Signore avrebbe conquistato il mondo.

In realtà Varagh aveva il dubbio che il suo Signore avrebbe dovuto darsi una bella stiracchiata e fare un po' di fisioterapia prima di conquistare il mondo. Gia sei anni di immobilità non sono uno scherzo, poi un trono fatto di ossa non doveva essere il massimo della comodità.

Una cosa che aveva sempre lasciato perplesso Varagh era la strana tendenza dei vari Signori del Male che aveva servito nella sua vita, ad utilizzare sempre in qualche modo una qualche suppellettile arredativa costruita d'ossa. Sia un trono, uno specchio, un altare o un semplice cumulo di teschi al centro della stanza...

Varagh nutriva il sospetto che le guerre contro l'umanità dei Signori del Male avessero come secondo fine quello di rinnovare le suppellettili dei loro antri (caro, credo che casa avrebbe bisogno di una rinfrescata, soprattutto se vuoi impiantare il tuo nuovo Specchio Magico ultrapiatto, l'arredamento così com'è non si adatta affatto - va bene cara, scateno un'attimino una crociata contro il bene così diamo una sistemata anche a camera da letto).

Il Troll delle Foreste si inchinò di fronte al possente mago che lo scrutava immobile seduto sul suo trono. La voce imperiosa del suo Signore gli rimbombò - come sempre - in mente senza che le sue labbra si muovessero.

- CHE NOTIZIE PORTANO LE VIVERNE? -

Varagh, curando di tenere la testa il più possibile vicino al suolo. Rispose con la sua voce più umile (e cioè una specie di scricchiolio malevolo).

- Tutte sono tornate tranne una, mio signore. Poche sono le forze in grado di combattere che si trovano nei dintorni. Il nostro esercito metterà a ferro e fuoco tutta la valle, prima che qualcuno abbia modo di accorgersene e correre ai ripari -

- CHE NE E' DELLA VIVERNA CHE MANCA ALL'APPELLO? -

Varagh si chinò ancora di più. Adesso il naso bitorzoluto del Troll sfregava le mattonelle sbrecciate.

- Era quella assegnata alla zona del villaggio di Goosetown. Non so cosa sia successo, ma pare sia stata sopraffatta. -

- NON E' FACILE SOPRAFFARE UNA VIVERNA SELVAGGIA. NESSUNO A GOOSETOWN DOVREBBE ESSERE IN GRADO DI FARE UNA COSA DEL GENERE. -

- Ho fatto indagare, mio signore. Sembra che a Goosetown sia arrivato uno straniero. Non si sa molto di lui... si sa che è un tipo magro, che possiede molti libri. Luval, si chiama. -

- LUVAL. POSSIEDE MOLTI LIBRI. UNO STREGONE? -

- E' probabile, mio signore. -

- MANDA ALTRE DUE VIVERNE. VEDIAMO LA POTENZA DI QUESTO "STREGONE" -

- Come tu comandi, mio Signore -

Varagh si allontanò in fretta. La stanza piombò nel silenzio. In alto, appollaiata su una finestrella, una figura solitaria di pennuto guardava la scena con anatresco interesse.

 
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VyTheOwl
view post Posted on 17/9/2006, 09:04




Torben se ne stava tornando a casa giocherellando con un'arancia ancora acerba, che lanciava in aria ed acchiappava al volo... era orgoglioso della sicurezza con la quale riusciva a prendere al volo il piccolo frutto giallastro senza mai farlo cadere a terra. Si sarebbe rovinato se fosse caduto, e lui s'intristiva sempre quando accadeva... poi, se si fosse macchiato i vestiti, sua madre se ne sarebbe dispiaciuta e l'avrebbe rimproverato. Era due giorni che stava appresso a quell'ometto dal naso buffissimo, che continuava a tempestarlo di domande sulle anatre... e scriveva e cancellava e riscriveva indaffarato e nervoso le cose che il giovane, con tutta la buona volontà e la concentrazione di cui era capace, gli raccontava. Ultimamente l'ometto, che diceva di chiamarsi Luval, dimostrava segni di qualcosa che chiunque avesse avuto uno spirito d'osservazione superiore a quello di Torben avrebbe riconosciuto come esasperazione... Torben invece si limitava a notare un preoccupante disinteresse per le frittelle ed i biscotti della vecchia Gilyie e per le sue avventure di pesca nelle acque del fiume e degli stagni. Sovrappensiero, non si accorse della grossa anatra che cercava di richiamare la sua attenzione zampettandogli dietro; saltò in aria con un urlaccio spaventato quando la bestiola, stanca di correre, gli assestò una beccata in un calcagno.

"sqweeark"

Torben guardò risentito il paffuto pennuto, massaggiandosi vigorosamente il punto in cui il becco dell'animale gli aveva lasciato un vistoso segno rosso sulla pelle...
"Che ti salta in mente, mi hai fatto male!!"
L'anatra non si curò delle sue proteste e cominciò a saltellargli intorno, starnazzante ed inquieta... Torben capì che non era lì per giocare nè per chiacchierare dei pesci o delle lucertole di fiume. Si concentrò: prendeva molto sul serio lo strano e singolare compito che gli abitanti di quel borgo gli avevano affidato, ed anche sua madre ne era ormai contenta... si, perchè sua madre all'inizio non era poi parsa felice che egli dicesse a tutti in giro cosa le anatre gli riferivano, ma ormai se n'era fatta una ragione, anche perchè quando lui si rivelava utile i compaesani portavano loro tuberi, farina e carne salata. Il vicino di casa voleva sempre sapere delle piene del fiume e delle migrazioni dei grossi pesci argentei, e...
L'anatra dovette beccarlo di nuovo per ottenere la sua attenzione... e non pareva affatto contenta di lui. Torben se ne dispiacque, ma l'anatra non ci badò e continuò a starnazzare.
Lentamente, Torben ricostruì in parole intelleggibili i versi nervosi del pennuto; scosse la testa, cercando di capire... l'anatra continuò sempre più allarmata, arruffando le piume multicolori, schioccando il lungo becco e battendo al suolo le zampe palmate...

"Grande Verde, pelle dura, parla con nero seduto su bestie morte da tempo! Draghi cattivi velenosi, loro qui per piccolo uomo straniero"

Torben si grattò la testa pensieroso, mentre l'anatra lo guardava dondolando sulle zampe e muovendo il collo avanti ed indietro... non capiva molto di quello che il pennuto gli aveva detto, ma lo straniero era senz'altro Luval - Torben fu felice per la facilità con la quale aveva formulato quell'idea così limpida e lineare - e non restava altro da fare che correre ad avvertirlo.


Edited by VyTheOwl - 18/9/2006, 09:03
 
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PinguinoMannaro
view post Posted on 21/9/2006, 09:29




"-Grande Verde, pelle dura, parla con nero seduto su bestie morte da tempo! Draghi cattivi velenosi, loro qui per piccolo uomo straniero - riferì quindi Torben sottolineando poi ancora una volta il comportamento insoitamente aggressivo delle anatre"
Luval rincalzò sul naso gli occhiali dalla montatura rotonda e rilesse a bassa voce i suoi appunti. Andava bene? Forse era stato troppo generico. Sì, doveva farsi puntiglio di trascrivere tutto il più accuratamente possibile se voleva che il suo trattato "De anatrarum eloquentia" fosse preso sul serio. Sedeva a un tavolo della sala principale della locanda. Torben sedeva di fronte a lui, osservandolo con espressione pacata e rigirando in mano un sacchetto di frittelle . Dalle finestre aperte arrivava la luce di un pomeriggio inoltrato. Luval levò lo sguardo dalle carte e lo lasciò vagare per la stanza in cerca di ispirazione. Fulton, il locandiere aveva un'espressione preoccupata. Torben interpretò la sua esitazione come una richiesta di chiarimenti e puntualizzò cosa lo aveva colpito maggiormente. Luval aveva tenuto il conto : era l'ottantaquattresima volta che lo ripeteva.
Luval levò la penna e la intinse nel calamaio. era una penna d'oca, si era sentito in dovere di spiegare a Torben, non di un altro uccello e sporattutto non di anatra. Assolutamente non di anatra. Nessuna possibilità che fosse di anatra. Con uno svolazzo di remigante candida cancellò quanto aveva appena scritto e lo sostituì con :
"-Grande Verde, pelle dura, parla con nero seduto su bestie morte da tempo! Draghi cattivi velenosi, loro qui per piccolo uomo straniero - disse il soggetto. - E mi ha beccato! - aggiunse più di una volta"
Rilesse. Sì, parlare di "soggetto" piuttosto che di "Torben" aggiungeva il distacco che si addice a un vero studioso. E la frase circa la beccata stava meglio così, riferita direttamente, senza l'ambiguità del giro di parole che aveva usato prima.
Non era soddisfatto. Torben pensava che il comportamento dell'anatra fosse importante, ma lo era davvero? Cosa avrebbero pensato i posteri? Forse avrebbe dovuto evitarlo del tutto e limitarsi a menzionare le frasi pronunciate dall'anatra.
"-Grande Verde, pelle dura, parla con nero seduto su bestie morte da tempo! Draghi cattivi velenosi, loro qui per piccolo uomo straniero - disse il soggetto. " borbottò ancora a bassa voce .
Pulì dall'inchiostro la penna d'oca. Inutile rischiare che si seccasse mentre lui rifletteva. L'inchiostro raggrumato l'avrebbe resa inutilizzabile e lo avrebbe costretto a prenderne un'altra dalla sua scorta.
"-Grande Verde, pelle dura, parla con nero seduto su bestie morte da tempo! Draghi cattivi velenosi, loro qui per piccolo uomo straniero - disse il soggetto mostrando poi una sorprendente insistenza nel descrivere il comportamento dell'anatra che gli aveva riferito questo messaggio. " Luval considerò ancora a mezza voce questa possibile formulazione. Non lo convinceva. Aveva bisogno di un parere esterno. Attirò l'attenzione del locandiere con un cenno della mano.
- Fulton, mi servirebbe una tua opinione.
Il locandiere aggirò il bancone dietro cui si trovava e lo raggiunse. Aveva una strana espressione sul volto : le emozioni dei giorni precedenti avevano scosso parecchio della sua abituale compostezza. Sembrava desiderasse suggerire qualcosa e cercasse le parole che con meno probabilità avrebbero scatenato una catastrofe.
- Sto scrivendo un trattato sul tuo amico Torben. Secondo te quale frase suonerebbe meglio?
Fulton esitò. Aprì e richiuse la bocca un paio di volte. Poi rispose.
- Lo sa, signor Luval, sospetto che uno studioso come lei non dovrebbe semplicemente rimanere qui, probabilmente dovrebbe andare fuori, all'aperto, a studiare le anatre nel loro ambiente naturale.
Luval scartò immediatamente l'idea.
- No, no, io sono un teorico, non uno sperimentale. Sento che la mia vocazione è qui, tranquillo nella locanda senza altre preoccupazioni che i miei libri.
- Ecco, appunto, riguardo alle preoccupazioni... - riprese Fulton. Luval lo interruppe. Non aveva ancora finito. - E poi l'aperto è un posto orribile. Parlo per esperienza. Ci sono stato. Scomodo, talvolta piovoso... no,no, non fa per me, assolutamente. Piuttosto, mi porta un'altra tazza di te e una di quelle brioche per favore?
- Si, ma riguardo alle preoccupazioni, quello che stavo dicendo è che non ho potuto fare a meno di sentire la vostra conversazione, involontariamente, beninteso.
- Naturalmente - concesse Luval con un gesto benevolo della mano.
- E mi ha colpito la parte circa i Draghi cattivi velenosi che vengono per il piccolo uomo straniero.
- Sì - ammise Luval - è una frase interessante.
- Certo, ma...
- Sintatticamente imperfetta, questo è chiaro, ma ha una sua efficacia che credo si perderebbe se la riformassi secondo le più banali regole della grammatica.
- Non lo metto in dubbio, però...
- E poi sarebbe contrario all'etica che uno studioso come me deve seguire.
- Non metto mai in discussione l'integrità di un cliente finchè paga regolarmente il conto, ma quello che volevo dire e che stiamo parlando di draghi che arrivano per un piccolo uomo straniero, e sarei molto più tranquillo se lei proseguisse i suoi studi all'aperto. Se segue la strada verso la montagna c'è un rialzo a un paio di chilometri da qui da cui si gode di una splendida vista. Sono certo che la sua ispirazione ne trarrebbe grandissimo giovamento.
LUval rilesse la frase alla luce delle parole dell'uomo.
- Vorrà mica dire che lo straniero cui i draghi danno la caccia...
Il locandiere non rispose. Si limitò a indicare la sala che li ospitava. Il cartello "Pieno, non accettiamo altri clienti" prendeva polvere dietro il bancone. Luval non l'aveva mai visto esporre da quando era arrivato. In un angolo una donna dagli abiti eleganti si lamentava ad alta voce del servizio con una coppia di uomini ben piazzati che la accompagnavano. Gli uomini avevano l'aria pericolosa e portavano una spada al fianco. La sua scorta, con ogni probabilità. Non c'erano altri stranieri. Certamente nessuno che si potesse definire piccolo.
Improvvisamente L'idea di andarsene diventò enormemente attraente.
- Lo sa? Forse ha ragione. Mi farebbe bene uscire un po'. Magari visiterò quell'altura che mi ha suggerito.
Si alzò. Raggiunse la porta. L'aprì. esitò per un istante. La richiuse. Tornò a sedersi. Il locandiere sembrava perplesso.
- Ha cambiato idea?
_ Ha presente quello che ha detto poco fa circa le preoccupazioni, Fulton?
Il locandiere annuì
- Beh, è troppo tardi.
Entrambi rivolsero lo sguardo verso l'ingresso. La porta, una di solido legno stagionato esplose in una pioggia di schegge. Qualcosa di enorme e serpentino guizzò all'interno della stanza.
Luval non perse tempo a guardarla. Era finito nei guai abbastanza spesso da sapere che quando una mostruosità squamosa irrompe nella stanza in cui ti trovi, la cosa migliore è andarsene da quella stanza il prima possibile. Raggiunse la finestra con un balzo. Il suo impeto venne parecchio sminuito quando si trovò di fronte una seconda creatura come la prima. Tornò indietro. Una coda verde saettò nel punto in cui si era trovato un attimo prima e si conficcò in una scultura di legno dipinto che ornava la parete (1). In un attimo la vernice che copriva la figura si sgretolò, arricciandosi e scoprendo un legno putrido e annerito. La statua cadde a terra e si sgretolò.
Luval fece per rifugiarsi sotto il bancone. Fulton, che era già lì, afferrò il cartello "Pieno, non accettiamo altri clienti" e lo sistemò davanti a sè.
Imprecando, Luval corse nel modo in cui si corre tradizionalmente in quste circostanze (2). Un grido alle sue spalle. Si voltò brevemente. La prima viverna lo stava raggiungendo, scaraventando via le panche massiccce e i tavoli nella sua corsa, spostandoli al suo passaggio nel modo in cui un uomo potrebbe scostare con noncuranza un rametto che lo ostacola correndo nel bosco. Uno dei soldati che aveva intravisto con la donna aveva provato a aggredire l'altra viverna. Adesso l'uomo penzolava dalla coda levata della bestia. Torben era ancora seduto al tavolo e mangiucchiava placidamente una frittella. Un'anatra era entrata dallo squarcio nella parete e sembrava osservare divertita la scena.
Luval vide la viverna sollevare la coda e puntarla nella sua direzione. Disperatamente afferrò una sedia e la frappose tra sè e il pungiglione.
Il colpo trapassò la sedia senza fatica. La coda della creatura sfiorò i capelli di Luval. Poi la coda si levò nuovamente arquandosi dietro la schiena della viverna e sollevando di peso Luval che era rimasto istintivamente afferrato allo schienale.
Come un cane che cerca di mordersi la coda, così la viverna prese a roteare su sè stessa per azzannare Luval. Questi si trovò le zanne a pochi centimetri dal naso (3). Qualunque cosa mangiassero le viverne, non faceva bene all'alito.
La seconda viverna si era sbarazzata del cadavere della sua vittima e si era avvicinata. Balzò. Luval si lasciò cadere e si trovò a cavallo della prima mentre l'altra sfondava la parete e irrompeva fragorosamente in cucina.
Luval afferrò disperatamente con la mano sinistra le scaglie sul collo della sua strana cavalcatura. Vide a terra i suoi appunti e istintivamente li afferrò con la destra per timore che potessero rovinarsi in quel marasma.
La viverna si impennò. Luval a cavallo di essa, tenendosi con la sinistra e sventolando con la destra quel mazzo di fogli
-Aaargghhhh!



(1) La scultura e raffigurava un putto che reggeva una torcia. La suocera l'aveva regalata a Fulton anni prima e il locandiere si era sempre sentito costretto a tenerla in mostra malgrado il disgusto e l'ilarità che provocava in chiunque fosse munito di un minimo di buon gusto. In seguito, Fulton avrebbe detto che sbarazzarsi di quella statua quasi compensava tutte le grane di quel giorno. Quasi.
(2) Non "verso" ma "da".
(3) Che nel suo caso, naturalmente, rappresenta comunque una distanza considerevole dal resto del viso
 
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Gorca Drakovic
view post Posted on 21/9/2006, 11:16




Per fare la guardia del corpo occorrono determinati requisiti. Bisogna essere bravi con la spada, avere buoni riflessi ed essere abili a fare da tappezzeria. Bisogna essere il tipo di persone disposte a fare presenza lungo lo scorrere della vita di un altro essere umano, facendo finta di non sentire e non vedere quello che succede a meno che non sia pericoloso (1).

Per fare la guardia del corpo non è in effetti sempre necessario avere un quoziente di intelligenza troppo alto (2) e anzi di solito il tipo di persona che fa questo lavoro è quello che tende a muovere le labbra mentre pensa.

L'espressione di smarrimento che si disegnò sul volto del secondo gorilla al vedere un tipetto magro e nasuto cavalcare una viverna selvaggia stringendo disperatamente in mano un mazzo di fogli risultò quindi - date le circostanze - quantomeno comprensibile.

A rendere più chiara la situazione non contribuì il rumore simile ad un rintocco di campana che risuonò dall'interno della cucina, né l'enorme ombra dal volto feroce contorto in una smorfia orribile (3) che si fece sulla soglia.

La guardia del corpo sbattè due volte le palpebre, mentre il suo cervello tentava di classificare in qualche modo l'immagine di un gigantesco Troll delle Caverne con indosso un grembiule ricamato che recava la scritta (in belle lettere rosse) "Mr. Chef".
La creatura sembrava visibilmente contrariata e stringeva in una mano grande come un vassoio quella che appariva essere una padella antiaderente grande abbastanza per friggervi dentro un'intera giornata (fortunata) di pesca al tonno. La padella aveva un paio di ammaccature sul fondo (di cui una appariva recente).

Quando poi il Troll cominciò a ringhiare qualcosa riguardo ad un non ben definito dolce di meringa ora rovinato, il cervello gettò la spugna e comunicò alla guardia del corpo la sua impossibilità a fornire una qualsiasi spiegazione a quello che stava accadendo. La guardia reagì di conseguenza secondo lo standard a cui era abituato (4).

Mentre si scagliava contro il troll a spada sguainata, vide con la coda dell'occhio Torben rivolgersi ad un'anitra che stava osservando la scena poco distante. Non capì cosa dicesse ma udì distintamente l'anitra rispondere con una serie di "Quack" in tono discorsivo mentre l'altro annuiva.

La guardia accolse la padellata in fronte con un'espressione quasi di gratitudine e si accartocciò al suolo restando immobile mentre il Troll dedicava la sua attenzione a Luval e alla sua viverna.

Quest'ultima non pareva gradire il carico che si portava sulle spalle, e sibilava e si scrollava nel tentativo di liberarsene mentre il carico in questione faceva del suo meglio per evitare la coda velenosa del rettile.

"E' vietato portare cavalcature in taverna, c'è la stalla per quelli!"

Se Luval avesse avuto impegni meno pressanti, probabilmente avrebbe fatto qualche considerazione su come la visione della vita di una creatura alta tre metri e in grado di stritolare un mattone in una mano, possa portare a fraintendere la pericolosità - e quindi l'utilizzo - di molto di quello che esisteva al mondo. Ma Luval in quel momento pensava a ben altro e non aveva tempo per stare ad ascoltare le parole del troll (il che non contribuiva a migliorare l'umore del medesimo).

L'immensa padella calò rapida ma la viverna fu lesta ad evitare il colpo che andò a fracassare un tavolo della taverna. Il troll muggì il suo disappunto mentre il rettile gli sibilava selvaggiamente contro, sferzando a destra e a manca con la coda velenosa.

Un'altra padellata mancò la viverna ma quasi decapitò Luval. La bestia rispose con una serie di rapidi affondi di coda che mancarono Luval per un soffio e vennero parati abilmente dal troll che si faceva scudo con la padella.
Il rettile si fece sotto e per poco non fu schiacciato (assieme con Luval) da un possente colpo di padella che fece rimbombare il pavimento. La bestia diede un paio di potenti battiti d'ali alzandosi di alcuni metri da terra e avvicinando pericolosamente la testa di Luval al soffitto dello stanzone.

L'espressione sul volto di Luval era quella di un uomo che avrebbe potuto pensare senza fatica ad almeno dieci posti in cui si sarebbe trovato più volentieri rispetto a quello.

Uno scarto improvviso della Viverna gli fece perdere la presa. Cadde e sbattè violentemente contro qualcosa di duro che odorava vagamente di soffritto. Alzò gli occhi e si rese conto di essere nella padella di Lubash e di avere il volto di un troll ESTREMAMENTE seccato a pochi centimetri dal suo.

Non ebbe molto tempo per reagire in maniera consona (5) perchè sopra di lui, la Viverna si buttò in picchiata, o meglio in quanto di più simile ad una picchiata si poteva fare un un sia pur ampio stanzane come quello della Locanda del Grifone Cieco. Lubash "Maxime le Roquefort" tese i muscoli e Luval si sentì muovere all'improvviso mentre il Troll si metteva lestamente in posizione per accogliere la bestia con una sonora padellata...
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(1) Salvo poi scrivere un libro di gossip sulla vita del proprio protetto dopo la sua morte qualora questo fosse una personalità di fama, e fare quindi un sacco di soldi.

(2) Neanche per scrivere un libro di gossip.

(3) "Espressione seccata" quinta classificata alle qualificazioni per il Torneo delle Montagne

(4) Se non capisci cosa succede, è il momento di infilzare qualcuno.

(5) Probabilmente urlando AIUTO!

Edited by Gorca Drakovic - 21/9/2006, 14:04
 
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VyTheOwl
view post Posted on 23/9/2006, 08:49




La Natura, pur nella sua perfezione e completezza, sembra avere ogni tanto delle singolari dimenticanze: nel caso di Torben si era evidentemente dimenticata di fornirlo del benchè minimo senso del pericolo. Non che il giovane fosse sconsiderato, anzi... l'educazione materna l'aveva reso un essere fondamentalmente tranquillo, abitudinario, di buon carattere e poco propenso a cacciarsi nei guai; tuttavia egli manteneva una calma sorprendente in situazioni che avrebbero innervosito chiunque non fosse del tutto convinto della propria invulnerabilità.

Questo lo portò, nella fattispecie, a fare la considerazione più ovvia ed a comportarsi di conseguenza: le viverne non ce l'avevano con lui, e dei draghi ben educati non gli avrebbero fatto nulla se non si fosse messo di mezzo... non che volesse lasciare Luval al proprio destino e lavarsene le mani, ma più che avvisarlo non sapeva che fareci. Perdipiù aveva indosso la casacca nuova, e non voleva certo che sua madre lo vedesse tornare a casa quella sera con i vestiti sporchi e laceri... far arrabbiare sua madre si che era pericoloso! E poi Luval sembrava cavarsela bene, sorprendentemente bene: con l'arrivo del suo pachidermico amico cuoco di certo i guai del piccoletto sarebbero finiti presto - cosa della quale anche l'anatra sembrava convinta.

Assolutamente indifferente al chiasso, all'espressione terrorizzata di Fulton ed alle urla della viverna, Torben semplicemente scansò le frittelle, per evitare che si rovinassero quando schegge di legno e cocci vari cominciarono a piovere ovunque, quindi andò ad appoggiarsi alla parete di fondo con le frittelle in mano e la grossa anatra zampettante a fianco. Imperturbabile, il giovane rimase ad osservare l'inonsueto combattimento, con un'espressione di sereno divertimento stampata sul volto.
 
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