| "Tu... con quel faccino impertinente... ora... peggio per te..." Queste poche parole, ringhiate confusamente e con un tono eccessivamente elevato, per un attimo riuscirono a sovrastare la caotica ed estremamente chiassosa mistura di voci, canti sguaiati, risa, e urla che riempiva la taverna. L'esile braccio ambrato della ragazza fu stretto improvvisamente nella morsa forte e dolorosa di una mano grande, irsuta, eccessivamente callosa e rozza al contatto. I giovanili occhi neri, dal taglio indubbiamente europeo, prima persi nel vuoto all’inseguimento di non si sa quali pensieri, misero a fuoco un volto posto a un paio di centimetri dal suo: enorme, squadrato, coperto da una nera barba rada e incolta che sembrava confondersi in qualche strano modo con le folte sopracciglia, e singolarmente scuro: impossibile sapere se fosse solo a causa dell'azione del sole o della mistura di sudore e di sporcizia che lo ricopriva. La giovane ebbe un guizzo di paura, che riuscì a nascondere solo grazie alla ancor più profonda sorpresa causata dall’improvvisa apparizione dello straniero. Il volto le si contorse in una smorfia, non appena un forte sentore di rhum di infima qualità le colpì violentemente le narici. Immobile, vide la figura minacciosa dell’uomo si chinarsi pian piano su di lei, e all’odore di rhum ben presto si aggiunse uno più indefinito di pece, sudore e sporcizia. Ma certamente la cosa più sgradevole fu il ritrovarsi quasi schiacciata dal peso inerte di un corpo privo di sensi, vinto dai fumi di un’eccessiva quantità di alcool. Tuttavia, prima di spingerlo con noncuranza per liberarsene, lasciandolo cadere pesantemente in una zona particolarmente sudicia del pavimento, dietro uno dei tavoli vuoti poco distanti, la fanciulla ebbe la premura di sopportare quella scomoda posizione qualche momento in più, in modo da poter allievare lo straniero dal peso certamente troppo gravoso del sacchetto di monete appeso alla sua cintola. Gli occhi le si riempirono di disappunto, quando lo scoprì pieno solo di qualche tappo di bottiglia, di polvere e di qualcosa le cui sembianze si avvicinavano orribilmente a quelle di un arto di qualche piccolo animale. Senza abbandonare quell’espressione estremamente infastidita ricompose la propria postura, senza spostarsi dal polveroso tavolo al quale era seduta, in uno degli angoli più remoti e meno visibili della taverna. Lo sguardo curioso e attento, di nuovo fisso su un punto ben preciso, posto tra quel misto di corpi, bottiglie vuote e visi arrossati per effetto dell’alcool e dell’aria calda e stantia del locale. L’espressione sveglia e vivace, come catturata da qualcosa.
Certamente, agli occhi di un osservatore abbastanza acuto e lucido, l’ampia casacca e i logori pantaloni maschili sarebbero apparsi solo un goffo tentativo di camuffare quella figura fin troppo esile, anche per un ragazzino di età molto giovane, le cui forme erano indovinabili senza troppa difficoltà, sebbene fossero coperte da una notevole quantità di vesti alquanto sproporzionate. Allo stesso modo i ricci capelli ramati, raccolti sotto un cappellaccio di feltro a larghe tese la cui scura ombra le nascondeva la parte superiore del volto, non bastavano a privare di femminilità i lineamenti di quel viso ambrato, caratterizzato da due gote alte e leggermente paffute, ma, nonostante questo, fine. E sarebbe stato difficile non increspare le labbra in un leggero riso accondiscendente, o di scherno, nel contemplare quella figura strana, vagamente illuminata sicuramente non da una bellezza appariscente, ma da una certa grazia ancora acerba. Ma, fortunatamente, in media lucidità e perspicacia non erano qualità tipiche degli avventori della taverna El Toro: più grandi bevitori che uomini dall’intelligenza acuta. Inoltre la confusione di visi dalle fattezze più svariate, peculiarità tipica delle città come Maracaybo, giocava a suo favore. Fatto sta che quel travestimento, se pur caratterizzato da qualche pecca, che poteva suggerire una certa ingenuità o inesperienza, le era valso fino ad allora qualche sguardo indesiderato in meno, e la possibilità, in una certa misura, di agire indisturbata. In fondo era anche evidente, sia dall’aspetto sia dal modo di fare, che i piedi della fanciulla, imprigionati in scomodi stivaloni, non erano soliti percorrere le polverose vie di Maracaybo: quella era un'esperienza del tutto nuova. E nonstante questo, le erano bastati pochi giorni per imparare grossolanamente come muoversi per quei luoghi affollati, e cosa poteva aspettarsi da quella città. Quindi non le ci volle molto a capire che quella sera che l’atmosfera nella taverna era in qualche modo mutata, e che vi era qualcosa di inconsueto tra gente che la popolava, per quanto essa fosse già per sua natura strana ed eterogenea. Più volte il chiasso si era trasformato in mormorio, più volte l’attenzione degli avventori si era concentrata su qualcosa di diverso dall’alcool, dal cibo, o dai dadi. E anche nel caos, anche tra le risa, permaneva un certo senso di timoroso rispetto nell’atteggiamento degli avventori. Persino il proprietario, mentre lì, dietro il bancone , trafficava tra stoviglie e boccali, sembrava misurare i propri gesti, come in presenza di qualcosa, o qualcuno, degno di un’attenzione particolare. E non era certo una battaglia tra galli che poteva sortire questo effetto.
Per lei era impossibile comprendere il senso di quegli attaggiamenti, anche se sembrava essere l’unica, tra quelle mura sporche di fuliggine, ad averli percepiti con chiarezza. L'unica cosa che sapeva con certezza era che l’istinto le intimava di stare all’erta. E lei non aveva alcuna intenzione di violare le sue direttive.
Ciò che catturava tutta la sua attenzione al momento, era una lunga piuma nera, abbandonata qualche attimo prima da due mani rugose e segnate dal tempo, sul tavolo di due avventori che non potevano certo esser considerati degni di minor interesse…
Edited by [aBsinTHe] - 11/1/2007, 17:27
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